7.30.2012

Glass Canyon

MARIELLE V JAKOBSONS "GLASS CANYON"

E' stato alquanto complesso riuscire a trovare tra le recenti uscite un album capace di affascinare al primo ascolto, anzi, a dirla tutta sembra il triste trend di questo magro 2012. Quando il nome di Marielle V Jakobsons è apparso nuovamente in giro per il web, collegato al suo nuovo album (anzi, in un certo qual senso primo), dal titolo "Glass Canyon", il sentore che questo sarebbe andato in airplay sul mio iPod a lungo era scontato.
Si diceva poco più in su che "Glass Canyon" è il suo primo album, in realtà, è da specificare che si tratta del suo primo album solista sotto suo vero nome; nel 2009 aveva già pubblicato un album solista sotto moniker Darwinsbitch dal titolo "Ore", con il progetto Myrmyr che condivide con Agnes Szelag altri due album dal titolo "Amber Sea" (2011) e "Fire Star" (2009), ed ancora le pubblicazioni come Date Palms, il progetto condiviso con Gregg Kowalsky.
Si aggiunge ulteriormente la recente uscita "Improvisations for Strings and Electronics", risultato della collaborazione con Agnes Szelag ed Helena Espvall, altro lavoro affascinante e tra i pochi di quest'anno da tenere stretti...
Marielle V Jakobsons, a parte la sfilza di collaborazioni, è una sofisticata polistrumentista di Oakland, più precisamente violinista e pianista. La sua indole sperimentatrice l'ha portata ben in là da un repertorio strettamente classico...la sua musica unisce le componenti "organiche" degli strumenti classici (spesso in versione elettronica), alle componenti "artificiali" dei sintetizzatori, laptop, field-recordings,  e strumentazioni elettroniche varie. Di per se non è una caratteristica che la distingue da numerosi altri musicisti, quanto piuttosto l'estetica dietro la sua musica, tanto da essere stata definita anche come una designer del suono, capace anche di creare connessioni tra l'udibile ed il visibile dando un "volto" al suono...insomma, per rendere più chiaro il tutto, questa è una sua creazione:

Tornando a "Glass Canyon", il titolo suggerisce immediatamente il senso di contrasto tra natura ed artificio la cui connessione è esplorata a fondo nell'equilibrio che la Jakobsons stabilisce tra le parti acustiche ed elettroniche, ogni titolo dei 6 brani che compongono questo album da l'idea di un abbinamento errato, illogico: "Purple Sands", "Crystal Orchard" (frutteto di cristallo), "Cobalt Waters", "Dusty Trails", "Albite Breath" e "Shale Hollows"...
Il contrasto è sviluppato attraverso l'intrecciarsi di archi, pianoforte e sintetizzatori...field-recordings che evocano sensazioni naturali, come il vento, od un respiro, od ancora sensazioni acquatiche come un flusso che scorre per poi essere bruscamente interrotto. Sensazioni coperte ed alternate da flussi drone a dare invece una crescente sensazione pulsante di lente erosioni che si perpetuano nei cicli naturali, disintegrando pian piano ogni cosa per trasformarla in altro. L'approccio non sembra esser  quello di prendere una posizione netta separando ciò che è organico da ciò che è artificiale, ma piuttosto cercare una combinazione tra le due...forse così come la musica organica si è trasformata in musica elettronica, anche parte di ciò che è naturale "deve" subire lo stesso processo. Se Philip Glass non avesse già provvisto ai tempi in maniera così eccelsa, questa potrebbe essere la soundtrack perfetta per "Koyaanisqatsi" di Godfrey Reggio :)



Buon Ascolto!! :)

Nessun commento:

Posta un commento