Torno ora da una delle tante lezioni dedicate alla genetica del cancro incentrata sul moderno stile di vita, che si è trasformata inaspettatamente in una lezione pseudo-filosofica, a mio modo di vedere stupida, che mi ha ricondotto per chissà quali vie all' Opera di Godfrey Reggio. Valutando i pro ed i contro, il moderno stile comporta sì vantaggi in quanto comodità, possibilità di conoscenza, possibilità di scelta del proprio percorso avendo il paragone variegato di centinaia di altri stili di vita, possibilità di viaggiare, nonchè un colossale miglioramento (certo mi riferisco putroppo soltanto all' Occidente) per quanto riguarda salute, alimentazione, igiene, durata media della vita etc etc, ma valutando i "contro" si può parlare di fallimenti, delusioni, depressione, del fatto che l'aumento della vita media corrisponde all'allungamento del periodo più brutto dell'esistenza, ossia la vecchiaia, oppure corrisponde all'allungamento dell'agonia in conseguenza ad una malattia che lascia poche speranze. L'incidenza di patologie così gravi non è aumentata rispetto a 200/300/3000 anni fa se si valuta la durata media della vita (essendo frutto dell'accumulo di mutazioni, è più facile che insorgano dopo i 40 anni piuttosto che prima) e se si valuta il fatto non le si sapesse diagnosticare, ma ad oggi, nonostante i progressi fatti la mortalità resta sempre alta o comunque l'agonia e la sofferenza fisica che provocano, lasciano a prescindere residui psicologici anche dopo l'eventuale guarigione. In sostanza il "caro" docente ha sostenuto che forse è meglio non sapere nulla, ed andarsene in fretta senza tanti patemi; nel complesso, ha sostenuto una specie di visione leopardiana del tipo che l'allontanamento dallo stato di natura ha sostanzialmente portato all'infelicità, e ricordando sempre Leopardi nel "Canto di un pastore errante dell'Asia"..."correre, correre per arrivare dove?"
Fortunatamente ho ancora chiaro lo stesso discorso che fece un mio docente di Sociologia tempo fa, ribaltando completamente la questione e facendo capire quanto questo tipo di ragionamento sia insensato...come un organismo è destinato ad evolversi per rendersi adeguato all'ambiente che lo circonda, sono destinate ad evolversi anche le sue capacità sia fisiche che mentali. Ogni organismo di natura ha acquisito capacità, si è evoluto nel corso della sua storia, si è differenziato aggiungendo rami all'albero genealogico, ha accumulato riflessi e capacità filogenetiche che lo hanno reso migliore rispetto ai suoi precedenti; questo discorso non vale soltanto per le questioni prettamente genetiche e legate alla fisicità, ma anche alla mente (che è a tutti gli effetti fisica, in quanto il prodotto di interazioni di sinapsi, recettori, comunicazioni cellulari...). E' naturale pensare che un tricheco di oggi abbia più capacità mentali che fisiche (dovute ad accumuli filogenetici) rispetto ad un tricheco di "ieri". Lo stesso vale per l'uomo, perchè parlare di allontanamento dalla natura? La capacità mentale si è evoluta, ha acquisito caratteri, processi, connessioni neurali che abbinati al pollice opponibile hanno dato la possibilità di costruire oggetti complessi e tecnologici, fino allo stato attuale. Insomma, è curioso che un uomo di scienza cerchi di filosofeggiare banalmente "rinnegando" la sua professione, mentre un uomo con una cultura umanista e filosofica cerca di sposare le idee scientifiche con convinzione, no?
Tutto questo mi ha portato a pensare ad una (in realtà 3) visione che non lascia certamente indifferenti: la trilogia QATSI di Godfrey Reggio.
Si tratta di appunto 3 film (o meglio definirli documentari?) il cui titolo è in lingua Hopi (amerinda), cui quatsi ha il significato di "vita" (le musiche sono ad opera di un "certo" Philip Glass). La lingua Hopi è stata presa in considerazione per via delle tre profezie (presenti nei brani di Glass) che sono:
- "Se scaviamo la terra in cerca di oggetti preziosi, provochiamo calamità"; "Nel giorno della Purificazione, vi saranno ragnatele tessute ovunque nel cielo"; "E' possibile che un giorno un recipiente di cenere sia scagliato dal cielo, che arda la terra e faccia ribollire gli oceani":
Koyaanisqatsi: Life out balance(1983)
Powaqqatsi: Life in transformation(1988)
Naqoyqatsi. Life as war(2002)
Il tema principale è il percorso umano dai suoi inizi, in armonia con la natura, poichè parte integrante della natura...ed è inutile dire che sembra tutto bello, la musica è pacata, rilassata, ma man mano l'uomo si "allontana" dalla natura (che per il regista significa alienazione e stereotipia) tutto diventa frenetico, senza senso, la musica è sincopata, fastidiosa etc etc. Nel primo (Koyaanisqatsi), che è il più forte dal punto di vista visivo, per descrivere ciò si parte da pitture rupestri (nello Utah credo), dove tutto è tranquillo, fino ad arrivare al "fallimento" della tecnologia e del progresso rappresentato dall'esplosione di un convoglio aerospaziale e la sua lenta caduta infuocata verso la superficie terrestre...e tutto si chiude con lo sguardo nostalgico proprio a quelle pitture rupestri iniziali, insomma "corri, corri...per arrivare dove?"In qualsiasi caso, concordando o meno con questa visione, questa opera visiva è un vero capolavoro, frutto del lavoro durato anni ed anni in sala di montaggio...l'importante è non farsi deprimere durante e dopo la visione! :P
(l'estratto del "fallimento" tecnologico in Koyaanisqatsi in alto, preceduto da un paio di minuti sul declino umano).