7.30.2012

Glass Canyon

MARIELLE V JAKOBSONS "GLASS CANYON"

E' stato alquanto complesso riuscire a trovare tra le recenti uscite un album capace di affascinare al primo ascolto, anzi, a dirla tutta sembra il triste trend di questo magro 2012. Quando il nome di Marielle V Jakobsons è apparso nuovamente in giro per il web, collegato al suo nuovo album (anzi, in un certo qual senso primo), dal titolo "Glass Canyon", il sentore che questo sarebbe andato in airplay sul mio iPod a lungo era scontato.
Si diceva poco più in su che "Glass Canyon" è il suo primo album, in realtà, è da specificare che si tratta del suo primo album solista sotto suo vero nome; nel 2009 aveva già pubblicato un album solista sotto moniker Darwinsbitch dal titolo "Ore", con il progetto Myrmyr che condivide con Agnes Szelag altri due album dal titolo "Amber Sea" (2011) e "Fire Star" (2009), ed ancora le pubblicazioni come Date Palms, il progetto condiviso con Gregg Kowalsky.
Si aggiunge ulteriormente la recente uscita "Improvisations for Strings and Electronics", risultato della collaborazione con Agnes Szelag ed Helena Espvall, altro lavoro affascinante e tra i pochi di quest'anno da tenere stretti...
Marielle V Jakobsons, a parte la sfilza di collaborazioni, è una sofisticata polistrumentista di Oakland, più precisamente violinista e pianista. La sua indole sperimentatrice l'ha portata ben in là da un repertorio strettamente classico...la sua musica unisce le componenti "organiche" degli strumenti classici (spesso in versione elettronica), alle componenti "artificiali" dei sintetizzatori, laptop, field-recordings,  e strumentazioni elettroniche varie. Di per se non è una caratteristica che la distingue da numerosi altri musicisti, quanto piuttosto l'estetica dietro la sua musica, tanto da essere stata definita anche come una designer del suono, capace anche di creare connessioni tra l'udibile ed il visibile dando un "volto" al suono...insomma, per rendere più chiaro il tutto, questa è una sua creazione:

Tornando a "Glass Canyon", il titolo suggerisce immediatamente il senso di contrasto tra natura ed artificio la cui connessione è esplorata a fondo nell'equilibrio che la Jakobsons stabilisce tra le parti acustiche ed elettroniche, ogni titolo dei 6 brani che compongono questo album da l'idea di un abbinamento errato, illogico: "Purple Sands", "Crystal Orchard" (frutteto di cristallo), "Cobalt Waters", "Dusty Trails", "Albite Breath" e "Shale Hollows"...
Il contrasto è sviluppato attraverso l'intrecciarsi di archi, pianoforte e sintetizzatori...field-recordings che evocano sensazioni naturali, come il vento, od un respiro, od ancora sensazioni acquatiche come un flusso che scorre per poi essere bruscamente interrotto. Sensazioni coperte ed alternate da flussi drone a dare invece una crescente sensazione pulsante di lente erosioni che si perpetuano nei cicli naturali, disintegrando pian piano ogni cosa per trasformarla in altro. L'approccio non sembra esser  quello di prendere una posizione netta separando ciò che è organico da ciò che è artificiale, ma piuttosto cercare una combinazione tra le due...forse così come la musica organica si è trasformata in musica elettronica, anche parte di ciò che è naturale "deve" subire lo stesso processo. Se Philip Glass non avesse già provvisto ai tempi in maniera così eccelsa, questa potrebbe essere la soundtrack perfetta per "Koyaanisqatsi" di Godfrey Reggio :)



Buon Ascolto!! :)

7.25.2012

Antony & the Johnsons - Paris - July 3, 2012

Ho impegato un'eternità ma alla fine ecco il riassunto del concerto...cioè...più che riassunto ha i connotati del romanzo!
Anche se sono giunta ormai in prossimità della seconda decina di concerti inseguendolo un po' ovunque, vedere Antony è sempre un'emozione particolare, o meglio, è un'esperienza a se...il senso di pienezza che regala l'attesa che separa l'acquisto del biglietto dalla serata dell'evento, la commozione e lo stupore di guardare i suoi gesti e la sua espressività così misteriosa a pochi metri da lui, e poi, quando tutto è terminato (tutto troppo in fretta), quel senso di malinconia che mi accompagna per giorni, quasi come ogni volta fosse l'ultima.
Ma insomma, in positivo od in negativo, Antony Hegarty è comunque un Artista (ribadisco) "a se", la sua unicità e la sua profondità non possono che evocare sentimenti contrastanti, forse come a riflettere l'essenza della sua Arte...una rara amalgama tra l'etereo o l'oscuro, capace di commuovere e far emergere quel lato sensibile che si cerca sempre di nascondere...ma su questo punto però non è il caso di soffermarsi ulteriormente ancora una volta, ed io non potrei che avere parole di ammirazione per lui.
Dunque, il tour 2012 prende il nome "Cut the World", lo stesso titolo del prossimo (quinto) album in uscita ad agosto, null'altro che un live registrato a Copenhagen lo scorso settembre (io ero presente alla prima delle due date...); tour  ancora una volta portato avanti con le orchestre sinfoniche, ed iniziato ufficialmente a Città del Messico lo scorso maggio (dove il Nostro, se ho ben capito, ha contratto un parassita intestinale), proseguito poi alternando qualche pausa per The Life of Marina Abramovic ad Amsterdam e poi ripreso a Parigi per terminare il 3 agosto a Stoccolma...e tutto ciò in totale assenza dei Johnsons (nemmeno Rob Moose alla conduzione). Il 5 agosto invece Antony suonerà finalmente accompagnato soltanto dai Johnsons per suo Meltdown Festival...se solo la notizia fosse uscita prima, col cavolo che andavo a Parigi...arghhh!!
A questo punto devo dire che quando a febbraio seppi della data a Parigi (tra l'altro la prima ad essere confermata), la mia storica accompagnatrice di concerti Antonyani mi disse seccamente "...finchè non torna con i Johnsons e non molla le orchestre, per me basta così...", a quel punto ho capito che qualcosa si è rotto nel meccanismo (forse si era già rotto a Bari), e non posso che trovarmi concorde con lei: visti 1-2 live sinfonici, li si è visti tutti, le scalette sono sempre uguali, e l'impostazione stessa non prevede due requisiti fondamentali che rendevano i concerti A&tJ tanto speciali quanto magnifici: l'improvvisazione ed una maggior intimità ed interazione forse dovuta anche ad una minore condizione di stress...quanto sembra nervoso e pignolo Antony ora, così preoccupato che tutto proceda alla perfezione. Sicchè, mancando la fotografa, le foto nel post le ho scattate io...e data la mia scarsa attitudine, il risultato è  alquanto pessimo, ma tant'è! :)

Prima di passare al concerto, mi va di aggiungere un altro lunghissimo prologo (tanto nelle ultime 3 settimane non ho scritto nulla):
arrivo davanti la Salle Pleyel poco prima delle 19, un'ora prima che inizi il concerto, pochissime persone in attesa all'ingresso e tra questi un signore con in mano un cartellone in cui chiede di comprargli o regalargli un biglietto (non so una parola in francese, ma suppongo comunque una delle due opzioni)...spero sia riuscito ad assistere al concerto lo stesso! Mi accingo all'atrio di questa struttura in stile art déco che lascia poco spazio alla luce e che da una sensazione un po' claustrofobica (nulla a che vedere con la fighezza extra-contemporanea della Koncerthuset!), una struttura pesante e troppo antiquata. Quando vedo che qualcuno si indirizza verso l'interno della sala, chiedo ad uno degli addetti come raggiungere il parterre (in inglese), e giustamente questo mi risponde in francese, ed a questo punto penso sia spuntato un grosso punto interrogativo sopra la mia testa, sicchè in maniera scazzata mi ha indicato la via puntando il uso dito con un odiosissimo movimento in slow-motion...vabbè.. Quando giungo all'interno della sala il copione si ripete con un altro addetto che doveva scansionare il bar-code del biglietto... (E' stata la prima visita per me a Parigi, fortunatamente solo due giorni e mezzo prima di migrare per le mie vere vacanze decisamente più a nord, ma nonostante il breve soggiorno, dover far fronte a questa loro supponenza della lingua mi ha creato una certa inquietudine). Manca ancora mezz'ora all'inizio del concerto ed in sottofondo scorrono brani da "Melancholia" di Basinski, e rasserenata da ciò ho fatto qualche foto allo stage impreziosito da pannelli argentati su cui gli effetti luce creeranno riflessi molto particolari.

La sala è piuttosto minimalista, giocata sul contrasto rosso delle poltrone, bianco delle pareti...i miei gusti sono indirizzati su un design decisamente più contemporaneo, ma bisogna dire che l'acustica della Salle Pleyel è davvero impeccabile! Pian piano la sala si riempie, qualcuno arriverà alle 20:00 spaccate, altri arriveranno a concerto iniziato...ed altri a concerto quasi terminato...vabbè...un elemento di disturbo che una buona organizzazione avrebbe evitato! Su questo punto si arriva alla parte peggiore tra tutte: ok che è vietato fare fotografie, registrazioni, filmati e quant'altro (difatti su youtube esiste un unico filmato di tutta la serata, e realizzato da qualcuno molto lontano dal palco), ma per tutta la durata del concerto è stato un via-vai continuo di addetti che passavano avanti ed indietro assicurandosi che nessuno osasse estrarre dalle proprie borse alcunchè, oppure per far accomodare i ritardatari...a questo si aggiunge il fatto che io ero in quarta fila e tra la mia poltroncina e la terza fila ci fosse un corridio adibito al passaggio...sicchè questi ad ogni ronda mi coprivano la visuale...arghhh!!!

Basta, veniamo al concerto:
Sale sul palco l'Orchestre National d'Ile de France in un outfit completamente bianco...tutti uomini eccetto che per due violiniste...segue la solita accordatura e poi giunge sul palco il pianista che sta accompagnando Antony in tutto questo tour estivo: Gael Rakotondrabe. Le luci si abbassano e poco dopo arriva Antony. Per lui un outfit invece oscuro, molto diverso dai capi in seta colorata indossati nel precedente (brevissimo) tour 2011; un eyeliner nero molto pesante ed un vistoso ombretto di un azzurro acceso capace di far risaltare i suoi occhioni blu, con il risultato di uno sguardo piuttosto severo e malinconico. Un vecchio vestito ormai sgualcito e scolorito, su cui poggia un mantello nero (o forse meglio definirlo poncho?), che lo avvolge quasi ad impedire allo sguardo di delineare i suoi limiti corporei, ed ancora un collare (con aggiunta di make-up nero sotto al collo), attorno cui il mantello va a fissarsi...difficile dire se collare e mantello fanno parte dello stesso abito, o se questa sia una combinazione di elementi, comunque sia il risultato voluto (ed ottenuto), è quello di una presenza spettrale, ed è alquanto magnetico. A completare il tutto, bisogna aggiungere, un paio di scarpe stringate di un rosa lucido...ed è da dire che il binomio era perfettamente intonato.
Come detto, le luci si abbassano, Antony spunta da dietro le quinte e senza dire nulla nè accennare qualsiasi gesto od espressione, si porta al centro del palco. Il suo sguardo è freddo e da l'impressione di essere innervosito (ma probabilmente il make-up ha enfatizzato questa sensazione). Risuonano le prime note al pianoforte, si tratta di "Rapture", dapprima Antony rimane immobile con lo sguardo fisso rivolto sul fondo della sala, la sua voce è magnifica e potente, poi pian piano le sue mani cominciano a muoversi delicatamente, riprendendo in qualche modo la forma espressiva del Butoh, ed infine, come si trattasse di una costante evoluzione, i suoi movimenti diventano via via sempre più impulsivi, netti, scatti quasi violenti, ma tutto ciò non fa che arricchire il brano di una particolare e rabbiosa carica emotiva. Segue un timido applauso, forse un po' tutti siamo ancora inebetiti dalla sua Presenza e dal suo look così oscuro, lui accenna un timido "Merci" e senza aggiungere nulla procede immediatamente con "Cripple and the Starfish", i suoi gesti sono ancora pesanti ed impulsivi, ma il suo viso comincia a lasciar trasparire un maggior grado di relax, tanto che un certo punto strizza l'occhio ed accenna un sorriso compiaciuto ad un ragazzo seduto in prima fila.
Segue in scaletta "For Today I Am a Boy", Antony si scioglie, i suoi movimenti sono fluidi e trasportati da una forte carica emotiva che lo porta sul filo, trattenuto a fatica, della commozione. I suoi occhi sono visibilmente lucidi, la sua voce sceglie un percorso quasi recitativo tanto da rallentare il corso del brano per enfatizzare l'intimità imbarazzante di questo splendido brano (imbarazzante nel senso che da ascoltatrice ogni volta che ascolto questo urlo di rassegnazione, mi sembra di violare il suo "io" più profondo); gli applausi partono ancor prima che termini, ed è un peccato perchè il finale con effetto ansimante, quasi fosse un singhiozzo, della versione orchetrale, è sempre splendido!
E' la volta di "Epilepsy is Dancing" che Antony decide di arricchire con rumorosi ed energici schioccare di dita che spesso non seguono la ritmicità del brano ma creano in maniera spasmodica un effetto da brividi specialmente sul crescendo "Now is Passing, Now I'm Dancing". Finalmente dice una mezza frase, nulla più di un semplice "sono contento di suonare a Parigi", poi 4 laser verdi si posizionano creando una barriera che scorre davanti a lui, le luci trasfromano il palco in una nuvola fucsia, risuonano le prime inconfondibili note del giro di pianoforte di "Crazy in Love", la voce di Antony è così morbida ed eterea che mi viene da paragonarla al versicolare di un bellissimo gatto in vena di coccole, ed anche in questo caso il trasporto emotivo che riesce a donare al brano è così intenso da farmi commuovere fino alle lacrime.
Senza accennare ancora nulla, si siede al pianoforte, le luci che si riflettono sulla scultura sospesa ed ora diventano oscure...è la volta di "Swanlights". La versione orchestrale, ancor più di quella album, ha una resa ipnotica ed evocativa, l'intro ha sempre la capacità di rimbombarti dentro le ossa, una frequenza che riesce a penetrare i tessuti per restarvi sedimentata a lungo all'interno, proprio come si trattasse di una radiazione...il lento incedere del finale che si trascina a fatica poi non fa che esaltare la magnifica complessità che il termine "swanlights" assume nell'Arte di Antony.
Tornato alla postazione in centro palco, introduce "Cut the World", appunto un brano scritto per "The Life and Death of Marina Abramovic" e che sarà il punto centrale del prossimo full-lenght,; brano che per lui assume particolare significato in quanto ben riassuntivo del suo discorso sul potere del femminino, un esorto al cambiamento accettando tutti i rischi che ciò consegue, ma senza aver paura di perdere qualcosa perchè il cambiamento è l'unica possibilità rimasta. Due fasci di luce bianca si incrociano a mezz'aria sopra le nostre teste, partendo dai lati opposti del palco (un effetto incantevole), parte il giro di piano ed Antony inizia a cantare, ma dopo circa 20 secondi esclama..."Sorry, I have to sneeze!!" ;), così si interrompe, interrompe l'orchestra, starnutisce (persino il suo modo di starnutire è splendido!!), si scusa imbarazzato e divertito, ribadisce di aver starnutito... ;) e così: i due fasci laser bianchi tornano ad incrociarsi sopra le nostre teste, parte il giro di pianoforte, parte l'orchestra ed Antony inizia a cantare...questa volta è quella buona! Quando la sua voce si intensifica sul passaggio "...but when will I turn and cut the world?...", tremano persino le poltrone, talvolta però il pianista è in ritardo ed Antony deve un po' allungarsi sulle vocali, ma questo poco importa... Guardare i movimenti delle sue mani mentre la sua voce si flette tra tonalità ondulanti e continue modulazioni è spossante quanto commovente e dopo le precedenti occasioni (Copenhagen e Bari), capisco in maniera definitiva che ascoltare "Cut the World" dal vivo è un'esperienza che resetta gli indicatori del mio senso del "bello". Non parvo della splendida esecuzione, decide di regalarci un altro momento emotivamente destabilizzante: lascia riposare un attimo l'orchestra e chiede al pianista di accennare nuovamente lo stesso giro di pianoforte e continua così, in maniera intima con "Cut the World" in versione acustica. Le sue modulazione vocali si fanno ancor più strambe ed affascinanti, questo non dura più che un minuto ma...si tratta di 60 secondi indimenticabili!
Segue un lungo silenzio riflessivo, lo sguardo oscuro fisso nel vuoto di Antony riesce a riempire ugualmente quei secondi di vuoto, poi le luci si abbassano di intensità, assumono tonalità del blu scuro, un fascio di luce leggermente più chiaro illumina soltanto il suo viso...ecco il fantasma, il riflesso luminoso, l'ologramma...quell'eterea Presenza sul palco capace di lasciarti frastornato con un solo sguardo o movimento delle sue mani. Quell'eterea Presenza dotata di una sensibilità fuori dal comune capace di esprimere la sua angoscia globale nel raffinato minimalismo di "Another World"...spiazzante!
Seconda sorpresa: senza l'appoggio orchestrale improvvisa qualce secondo di vocalizzi per poi fermarsi di colpo e raccontare del suo primo viaggio a Parigi; aveva 16 anni ed aveva deciso di frequentare per qualche mese una summer school con l'intento di imparare il francese. Spiega che per l'intero soggiorno è stato in un hotel a  a Montmartre e che era solito recarsi nei giardini presso Camp du Mort (o Nord?...non ho ben capito)...a questo punto si blocca in un ulteriore lungo silenzio, il suo sguardo è fisso a terra e soltanto dopo un paio di minuti (quanto mi sarebbe piaciuto ascoltare dove voleva andare a parare), introduce "Kiss My Name". Immaginando che tutti noi presenti in sala tra una 50ina di anni saremo morti, comunque i nostri "spiriti" continueranno a vagare tra i vivi, così come lo "spirito" di un bambino morto che chiede alla propria madre di prendersi cura di lui...parte il brano ed Antony è alquanto danzereccio, adoro ogni volta quando arriva il momento in cui porta la mano al lato della bocca per amplificare quell'urlato "kiss my name" centrale, protende le sue braccia verso l'alto con movimenti goffi ed accompagna l'orchestra nuovamente con rumorosi ed energici schioccare di dita...la sua presenza scenica è sempre da lode :)
E' la volta di "I Fell in Love with a Dead Boy", io già mi preparo il fazzoletto...e faccio bene perchè quella pausa di silenzio mi fa sempre partire la lacrimuccia :) Probabilmente questo è il brano che ha suonato più volte in assoluto dal vivo, eppure ogni volta mi sembra una versione completamente differente da tutte le altre ascolate in precenza, ed a giudicare da come esplode il pubblico in applausi ed urla, direi che la pensiamo un po' tutti quanti così!
"Salt, Silver, Oxygen": è da premettere che il pianista è stato ancora in questo caso più volte in ritardo e che Antony, nuovamente, ha dovuto spesso dilungarsi nelle vocali (sia inteso che comunque si è trattata di un'esecuzione sublime!), così alla fine del brano si dimostra insoddisfatto (ma si sa che questi sono soltanto pretesti per poter parlare...piccoli espedienti che utilizza spesso e che funzionano alla grande), si scusa per i continui allungamenti che terminavano con un calo di tonalità e ricanta i versi che meno gli erano piaciuti a livello di resa. Spiega che si tratta di un brano a cui lui tiene moltissimo (ovviamente torna la questione del femmineo) e ricalca in particola modo il verso "...dancing with her casket Christ becomes wifes..." che ha per lui un profondo significato. "Gesù è una donna, Allah è una donna, Buddah è una madre", esorta il cambiamento, "è importante che gli uomini si facciano da parte", è il momento che le donne inizino a governare. "Se abbiamo un futuro, e sono preoccupato che in realtà non lo abbiamo, è in mano alle donne". Riflette sull'emancipazione femminile, constatando che in media soltanto il 30% di qualsiasi governo è occupato dalle donne, e lui vorrebbe un semplice switch...se ogni uomo al potere lasciasse il suo incarico alla moglie, avremmo il 70% dei governi occupati da donne, ed è ciò a cui auspica con forza (purtroppo qualche fischio si sente provenire dal fondo della sala...). "Potere al femminino, potere alle madri", e da qui dilungandosi sul discorso arriva LA SORPRESA:
"Trust your Mother" in versione acapella, uno splendido regalo (da quanto tempo non improvvisava più?!?). Chiede ad un ragazzo seduto in prima fila di tradurgli le parole in francese...dovrebbero esser queste (posto il fatto che io non conosco una parola in francese): "Crois in ta mère, avec ta vie" e chiede al pubblico di cantarla con lui...per breve tempo viene accontentato, poi decide di scatenarsi da solo con la versione tradotta, i suoi vocalizzi contorti ed alieni sono da pelle d'oca e per un momento sembra di rivivere quel periodo in cui sul palco era accompagnato soltanto dai suoi Johnsons e spesso la sua vena creativa e sperimentale prendeva il sopravvento...quanto mi piace l'Antony così!!
Al termine si rammarica di non essere in grado di cantarla come avrebbe fatto Edith Piaf :)...sarebbe stato un po' disturbante, meglio di no!
Da l'ordine all'orchestra di suonare da capo "Salt, Silver, Oxygen", tiene moltissimo alla perfetta riuscita di questa...ma qualcosa non va...riparte da capo dicendo "It's going to be a long night!" (tra me e me penso che durasse anche 3-4 ore non sarebbe certo un problema!), ma s'incarta di nuovo a metà brano e così si arrende per passare oltre "Sorry, I can't do this again", così si passa a "You Are My Sister" ed anche in questo caso mi stupisco di quanto sia meravigliosamente emozionante questo brano, i suoi occhi si inumidiscono ancora...e così anche i miei...4^ fazzoletto! L'unica pecca è stata l'intensità di un faretto puntato dritto ad altezza occhi, tanto che ad un certo punto si è dovuto spostare nella penombra.
"The Crying Light" parte un po' sbilenco, ma presto recupera; arriva il momento in cui Antony viene ingabbiato dagli effetti laser e questa totale dichiarazione d'amore artistica è uno dei momenti che attendo sempre maggiormente; è un peccato che spesso l'esecuzione "soffra" di rallentamenti ed errori commessi dal pianista, comunque sia si tratta ugualmente di 3 minuti di assoluta bellezza, che lasciano però intendere la serata stia ormai tristemente volgendo al termine.
Seguono i ringraziamenti riservati all'orchestra , al pianista, al conduttore e l'annuncio dell'ultimo brano in scaletta prima dell'encore: "Twilight", uno dei pochi brani che grazie agli arrangiamenti orchestrali, ha acquisito realmente valore. Il lungo finale del brano enfatizza la sensazione di tristezza che comincia a farsi sentire, la consapevolezza che quell'ora e mezza abbondante di incanto sia prossima alla fine.
Ringrazia tutti i presenti, saluta e sparisce dietro le quinte, segue l'abituale standing ovation arricchita da applausi che si dilungano per un paio di minuti, così torna sul palco e si siede al pianoforte, mentre una ragazza dal pubblico urla "When in Morocco?", ma lui capisce "When a hot-dog?" con espressione basita :)...la ragazza urla ancora più forte di prima ed Antony risponde che un amico gli ha parlato molto bene del Marocco, eccetto che per gli scorpioni che vivono nel deserto, ma che comunque sa dell'esistenza di un festival di musica spirituale che lo interessa molto ed un giorno vorrebbe andarci (in realtà non ha dato l'impressione di essere molto convinto di ciò che stesse dicendo...). Ringrazia nuovamente tutti per la piacevole serata e confessa di essere piuttosto stanco ma di essersi divertito (spero!), così parte "Hope There's Someone", splendidamente eseguita ed interpretata ma si risparmia sull'urlo di disperazione finale che la contraddistingue...la sua voce non ce la faceva davvero più!
Sul suo volto appare un sorriso naturale e compiaciuto...dati gli applausi è costretto a tornare altre due volte sul palco per ringraziare, per poi svanire del tutto, lasciando spazio a quel senso di maliconia latente che segna la fine. Tra l'altro a vedere il concerto ero pure sola, ed il supporto della mia cara Arianna mi è mancato moltissimo in questo momento...i nostri sguardi empatici e commossi nell'attimo in cui si riaccendono le luci sono sempre stati dolorosi quanto rassicuranti.
Comunque sia riesco a farmi dare da un energumeno dello staff la setlist ("Ghost" non l'ha suonata):

Quando esco dalla Salle Pleyel sono appena le 22:00 ed il cielo è ancora chiaro...questo è un po' alienante per noi italiani abituati a tutt'altri orari...comunque sia , mentre mi dirigo sotto la Tour Eiffel per vederla illuminata (tra l'altro non pensavo, ma è in una zona degradatissima!!), con una mano mi tengo ben stretta la borsa e con l'altra faccio una lunga telefonata all'Arianna, giusto per maledirla un po' perchè non era venuta, ma soprattutto per dirle che condivido il suo pensiero, ossia: le orchestre ci hanno rotto abbastanza, ma che tuttavia si era persa un signor concerto dell'Antonio...e questo non è certamente poco!!

Amen :)

7.19.2012

Sigur Ros live@MoMA

Il resoconto sul concerto alla Salle Pleyel sta occupando molto più tempo del previsto...ma è stata un'eperienza piuttosto contrastante... Comunque sia, per tappare il buco mi è venuto in mente questo live dei Sigur Ros:

Glósoli
Sé Lest
Við spilum endalaust
Sæglópur
Icelandic National Anthem
Inní mér syngur vitleysingur
Hoppípolla
Gobbledigook


Sigur Rós: 2008.06.17 MOMA (Current TV) from Sigur Rós on Vimeo.

Buona visione! :)

7.16.2012

Bonnie in Turin

Il 24 luglio uscirà il prossimo EP di Bonnie "Prince" Billy  dal titolo “Now Here’s My Plan”, in cui Will Oldham reinterpreta alcuni dei sui brani editi sotto pseudonimo Palace Brothers/Palace Music;ed  inoltre, a breve è prevista la ristampa di 6 album realizzati da Oldham sempre dalla sua produzione sotto diversi moniker, e quindi: "Arise Therefore", "Joya", "I See a Darkness", "Ease Down the Road", "Master and Everyone" e "Sings Greatest Palace Music", ma che verranno pubblicati questa volta sotto nome Bonnie “Prince” Billy.
Intanto questa settimana è in tour in Italia per 5 date: Bologna, Milano, Sestri Levante, Roma e poi anche qui a Torino con tutta la band  il 20/7 al Molodiciotto:



Buon concerto! :)

7.12.2012

Seconda incursione

Prima di riprendere con due album caratterizzati dalla solita consolidata cupezza, ma a cominciare dalla prossima settimana, lascio l' ennesima performance degli ExitMusic...ormai lanciatissimi!

Set List:
White Noise
The Modern Age
The Cold
Storms


Buona visione :)