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11.30.2011

Without Sinking

Dopo molteplici riferimenti e svariati post dedicati ad album in cui lei stessa ha preso parte, questa volta è arrivato il turno di un'altra violoncellista pratica della tecnica looping, ossia Hildur (Ingveldardóttir) Guðnadóttir.
Musicista e compositrice islandese, per un certo senso il suo processo creativo potrebbe essere accostato a quello della qui ben nota Julia Kent, oltre che per la tecnica looping applicata al violoncello, anche per il modo di approcciarsi ad esso, ossia non limitandosi al campo delle sonorità classiche, ma integrando componenti elettroniche e field-recordings ampliando così di fatto le potenzialità dello strumento.
Come la Kent, Hildur Gudnadottir si divide tra un percorso solista, in cui oltre al violoncello ha sperimentato anche l'arpa, il vibrafono e la viola da gamba (antecessore del violoncello), ed un percorso di collaborazioni con altri sperimentatori sonori, in cui nonostante la giovane età, rientrano già Johann Johannsson, Valgeir Sigurdsson, Nico Muhly, Ben Frost, Pan Sonic, Throbbing Gristle, Múm e più recentemente la collaborazione con il pianista tedesco Hauschka per il concept album "PanTone", e la partecipazione al progetto A Winget Victory for  the Sullen con Dustin O'Halloran ed Adam Wiltzie. Bisogna ancora aggiungere all'elenco che è stata opening-act per svariate date del tour del 2009 di Fever Ray, ossia il progetto solista di Karin Dreijer Andersson (parte del duo "The Knife"). Nel 2006 pubblica sotto nome "Lost in Hildurness", il suo primo lavoro da solista, "Mount A", registrato in parte a New York ed in parte in una baracca nel nord dell'Islanda, in cui a suo dire, la qualità del legno norvegese con cui è stata costruita, era perfetta per l'acustica. Mount A è stato poi rivisto e ripubblicato nel 2010.
L'album che lascio qui però è il successivo "Without Sinking", uscito nel 2009 e registrato nel Greenhouse Studios di Sigurdsson. A questo punto salta fuori un'altra analogia: Julia Kent nel 2007 ha pubblicato il suo album di esordio (come solista) "Delay", lavoro elaborato nel corso dei suoi numerosissimi spostamenti aerei ed incentrato sulle sensazioni che si vivono in un aeroporto...quasi un mondo a se, ed allo stesso tempo omologato a tutti gli altri...incontri, saluti, addii, lunghe attese, partenze, arrivi, stessi rumori, stesso vociferare etc etc; la Gudnadottir invece nei suoi altrettanto numerosi spostamenti aerei, ha voluto indagare su ciò che si può osservare guardando al di fuori del finestrino, e più che sul susseguirsi di panorami montani, marini, di pianura o luci urbane, si è concentrata invece sulle formazioni nuvolose, la loro composizione, il loro aggregarsi ed il loro oscurare la porzione di superficie terrestre che si trova al di sotto di esse. In effetti non è così scontato pensarci, è possibile rendersi conto che al di sopra dello strato nuvoloso è sempre e comunque sereno, il cielo è limpido...sono loro ad oscurarci dal Sole.
Ne risulta un disco incentrato dunque anche sulle condizoni di luce (e si sa bene quanto queste influiscano sul nostro stato emotivo), un lavoro di non facile ascolto, riflessivo, oscuro, dilatato, spesso le sonorità sono soffuse e le note vengono mantenute così a lungo da trasformarsi in drone che si trascinano a fatica attraverso graduali ed impercettibili variazioni. qui 
Oltre alla sua già citata discrezione e sobrietà (caratteristiche rare e sempre ben accette), nei pochi filmati relativi a qualche sua performance (e nell'unica volta che ho avuto modo di vederla dal vivo, qui a Torino nel 2010), a colpire è anche la naturale cura estetica dei suoi movimenti nel suonare il violoncello, strumento elegante di per se, ma elemento questo a cui non sempre viene data importanza...
Erupting Light:




Buon ascolto! :)

10.04.2011

L'eleganza del minimalismo e la malinconia del blu

Avrei voluto scrivere di "Metals", l'ultimo di Feist...l'ho ascoltato 1, 2, 3 volte, ma niente da fare...non mi dice assolutamente nulla, inizio a non tollerare più le melodie "indie" ma chic (quelle che piacciono alle riviste come Vogue) e soprattutto i testi troppo melensi. Quindi ho optato per due concept album che mi hanno rapita ultimamente, uno più elegante dell'altro, che con i sentimentalismi non hanno nulla a che fare (scontato dire che si tratta in ambe i casi di ascolti non facili):

CINDYTALK "EVERYTHING HOLD DEAR"
Ne parlai già abbastanza in un post/retrospettiva a loro dedicato circa un anno fa, ed essendo un gruppo di culto, direi che la biografia è già ben nota.
"Everything Hold Dear" rappresenta il terzo capitolo della trilogia iniziata nel 2007 con "The Crackle of My Soul" e proseguita nel 2010 con "Up Here in the Cloud"; bisogna specificare che la reunion del gruppo si è limitata soltanto a qualche live, mentre alla registrazione degli album citati (preceduti nel 2003 da "Transgender Warrior/Guts of London"), si è dedicata Sharp praticamente come solista.
Le sonorità dei primi tre album della fase '00, quindi fino a "Up Here in the Cloud", si sono distanziate molto da quelle della vecchia formazione Cindytalk, conseguenza del fatto che Sharp ha vissuto a lungo in Giappone ed ha subito l'influenza techno/rave o comunque delle sonorità da club. All'industrial suonato con strumenti tradizionali, si è sostituito uno strano mix capace di unire noise, ambient e minimal, talvolta anche martellante e pesante, creato però con strumentazioni sintetiche, dai laptop alle apparecchiature elettroniche.
Con "Everything Hold Dear" si cambia nuovamente registro, le sonorità si fanno più soffuse, meditative, viene calcata la componente ambient, viene aggiunto un leggero tocco al piano di tanto in tanto, come succede in "Waking in the Snow" od in "I See You Uncovered", brani in cui è facile pensare alla grazia di Sakamoto o Brian Eno. Vengono adoperati field recordings dai toni evocativi, bambini che giocano, veicoli in movimento, sonorità acquatiche, il rumore del vento, il tutto unito in un'armonia irreale e meditativa, mischiando elementi naturali ad artifici umani ...ha molti caratteri dello shintoismo giapponese...una continuità logica tra i titoli dei brani che hanno un percorso determinato, l'album apre con il brano "How Soon Now" in cui si sentono bambini ridere e giocare, e termina con il brano "Until We Disappear", in cui torna lo stesso vociferare...un'inizio ed una fine, senza alcuna illusione.

L'album è stato realizzato tra il 2006 ed il 2011 con la collaborazione di Matt Kinnison (scomparso pochi mesi fa), tra Okamoto e Londra. L'ispirazione giunge dall'omonimo libro di John Berger, che tratta sulla condizione umana in relazione alla politica, all'industria e alla Natura. E dimenticavo di dire che Sharp ha presentato l'album pochi giorni fa qui a Torino, sempre al BlahBlah. Qui

HAUSCHKA & HILDUR GUDNADOTTIR "PAN TONE"
Lui, Hauschka, è un pianista tedesco dedito alla sperimentazione, lei, Hildur Gudnadottir, invece è una violoncellista islandese che conosciamo già abbastanza bene su questo blog, una delle maggiori esponenti del looping cello. I due si sono conosciuti nel 2010 nel corso dell'Artic Circle's Bubbly Blue and Green, un festival a tematica ambientale svolto a Londra, il cui argomento principale fu l'acqua. Per l'occasione i due composero qualche brano ispirandosi ai colori dell'oceano, esplorando un range di tonalità che vanno dall'acquamarina al quasi nero, passando per il blu pantone.
Il progetto è stato poi approfondito, e da qui l'album "Pan Tone" (che dovrebbe essere la tonalità di blu in cui è scritto il titolo). I titoli riprendono 6 delle tonalità con cui sono indicate le sfumature del blu, "#283", "#294", "Black 6", "#304", "#320", "Cool Gray1", ed a seconda della gradazione il brano assume un carattere che va dal cupo, al lugubre al malinconico (sempre di blu si tratta!). Si mescolano così le sonorità leggere e vivaci del piano alle sonorità profonde e meditative del violoncello, così da ricreare in musica la sensazione che genera un colore nella nostra psiche. Per me è un piccolo capolavoro che va ascoltato in cuffia e totale solitudine per poter percepire l'intreccio perfettamente calibrato tra le due componenti. Le differenze sono minime ma con un minimo di attenzione non è complesso discriminarle. Qui.



Buon ascolto! :)

PS: Antony a Bari è stato fantastico (inutile dirlo...) e la scaletta è stata differente rispetto a quella danese! Dall'intervista rilasciata da la Repubblica (qui), si legge che nel 2012 ripartirà con un lungo tour...a questo punto però spero si tratti di un "classico" tour alla Antony & the Johnsons, quindi niente orchestre ed effetti luce (per quanto si sia trattato di aggiunte straordinarie). "Soltanto" Antony al piano accompagnato da tutti i Johnsons al completo.