Mai piaciuti i Radiohead, ma il primo sentore che il problema non fosse Thom Yorke mi venne con il suo album solista "The Eraser", ora ne ho la conferma:
Buon Ascolto! :)
2.26.2013
2.22.2013
Dustin O'Halloran live@[F]luister
Incantevole anche se non accompagnato da violoncello, viola e violino:
Dustin O'Halloran live at [F]luister from Renier Mouthaan on Vimeo.
Buon Ascolto! :)
Dustin O'Halloran live at [F]luister from Renier Mouthaan on Vimeo.
Buon Ascolto! :)
2.19.2013
The Revival Hour "Scorpio Little Devil"
THE REVIVAL HOUR "SCORPIO LITTLE DEVIL"
Dietro il progetto "The Revival Hour" si nascondo DM Stith, artista noto per il suo ottimo esordio Heavy Ghost uscito nel 2009 e per le sue consolidate collaborazioni con Shara Worden (My Brightest Diamond) e John-Mark Lapham, noto per le sue collaborazioni con Micah P. Hinson e Scott Matthew, oltre che come membro dei The Earlies. Per farla semplice, due artisti accomunati da una condizione che per quanto triste ed incomprensibile, ha regalato alla musica (all'arte in generale), spesso lavori preziosi, ossia essere gay e crescere in un ambiente restrittivo e bigotto. In questo caso, l'uno cresciuto in una remota cittadina ultra-conservatrice del Texas, e l'altro in una famiglia di stampo evangelico-puritano, spinto ossessivamente dalla famiglia ad ascoltare musica cristiana, nell'intento di farlo "redimere" dalla sua omosessualità (senza parole...). The Revival Hour suona dunque come una liberazione fin dallo stesso nome del progetto, traendo spunto in maniera pomposa, colorata ed orchestrale dalle sonorità '60, modernizzando un caleidoscopio di stili passando da soul singer come Dusty Springfield fino a musicisti come Roy Orbison, mischiando con successo elettronica, avanguardia, folk ed orchestrazioni sinfoniche.
Ascoltando l'album è immediatamente riconoscibile la voce di DM Stith, sempre caratterizzata dal suo accattivante falsetto isterico ed esasperato, a cui spesso fanno da contrappeso basso, sintetizzatore ed organo, giocando sull'alternanza basso-acuto con estrema eleganza e complessità con numerosi cambi di atmosfere.
Null'altro da aggiungere su questo piccolo ma prezioso lavoro, se non alcune tracce (tra tutte ("Hold Back" e "Copper House"):
Buon Ascolto! :)
Dietro il progetto "The Revival Hour" si nascondo DM Stith, artista noto per il suo ottimo esordio Heavy Ghost uscito nel 2009 e per le sue consolidate collaborazioni con Shara Worden (My Brightest Diamond) e John-Mark Lapham, noto per le sue collaborazioni con Micah P. Hinson e Scott Matthew, oltre che come membro dei The Earlies. Per farla semplice, due artisti accomunati da una condizione che per quanto triste ed incomprensibile, ha regalato alla musica (all'arte in generale), spesso lavori preziosi, ossia essere gay e crescere in un ambiente restrittivo e bigotto. In questo caso, l'uno cresciuto in una remota cittadina ultra-conservatrice del Texas, e l'altro in una famiglia di stampo evangelico-puritano, spinto ossessivamente dalla famiglia ad ascoltare musica cristiana, nell'intento di farlo "redimere" dalla sua omosessualità (senza parole...). The Revival Hour suona dunque come una liberazione fin dallo stesso nome del progetto, traendo spunto in maniera pomposa, colorata ed orchestrale dalle sonorità '60, modernizzando un caleidoscopio di stili passando da soul singer come Dusty Springfield fino a musicisti come Roy Orbison, mischiando con successo elettronica, avanguardia, folk ed orchestrazioni sinfoniche.
Ascoltando l'album è immediatamente riconoscibile la voce di DM Stith, sempre caratterizzata dal suo accattivante falsetto isterico ed esasperato, a cui spesso fanno da contrappeso basso, sintetizzatore ed organo, giocando sull'alternanza basso-acuto con estrema eleganza e complessità con numerosi cambi di atmosfere.
Null'altro da aggiungere su questo piccolo ma prezioso lavoro, se non alcune tracce (tra tutte ("Hold Back" e "Copper House"):
Buon Ascolto! :)
2.15.2013
Grouper - Exeprimental 1/2 Hour
Settimana in tema Grouper:
Experimental 1/2 Hour - Episode XI: Grouper from Experimental Half-Hour on Vimeo.
Buon Ascolto!! :)
Experimental 1/2 Hour - Episode XI: Grouper from Experimental Half-Hour on Vimeo.
Buon Ascolto!! :)
2.13.2013
Grouper "The Man Who Died in His Boat"
GROUPER "THE MAN WHO DIED IN HIS BOAT"
Liz Harris è un'Artista estremamente produttiva: 6 full-lenght, innumerevoli pubblicazioni tra EP e singoli e svariate collaborazioni (inutile citare nuovamente il tutto, rimando al breve ed incompleto riassunto: http://omote-no.blogspot.it/2012/03/liz-harris.html); tanto produttiva quanto schiva tanto da risultare piuttosto difficile districarsi tra le sue numerose attività, non avendo un sito ufficiale e limitandosi ad un profilo facebook non particolarmente aggiornato.
Il suo è uno stile ben consolidato capace di unire in una strana miscela la sua voce eterea a morbidi drone, atmosfere folk ad increspature ambient, il tutto a dare una sensazione confusa ed indefinita che evoca allo stesso tempo un senso di quiete ad una sfocata ed indefinita sensazione di disagio e nostalgia. Un suono cavernoso che sembra giungere alle orecchie da qualche remota sorgente sonora o forse da qualche sommesso ricordo, comunque sia, legato strettamente ad una sfera intima e privata. Od almeno, questa sarebbe la condizione ideale per esaltare al meglio l'ascolto delle sue produzioni, o meglio dire, delle sue "ambientazioni". Premesso ciò, salvo il forte carattere drone della sua ultima pubblicazione dal titolo "Violet Replacement", progetto nato come una serie di performance live basate sull'improvvisazione condizionata dal contesto ambientale della location e dal pubblico presente, ad un ascolto disattento le numerose produzioni di Liz Harris potrebbero dare l'impressione di essere apparentemente sempre uguali, una continua variazione ed una continua rielaborazione di uno stesso motivo; ma nelle giuste condizioni di ascolto (ed ovvio, avendo le adeguate attitudini al tipo di sonorità), invece è facile rimanere incantati dall'incredibile abilità con cui la Harris riesce ad esplorare l'oscuro con una dolcezza disarmante, giostrando la sua voce con componenti organiche e riverberi elettronici, muovendosi agilmente tra differenti atmosfere, inquietudini, riflessioni, ed evocazioni mnemoniche dal forte carattere nostalgico.
Ascoltando "The Man Who Died in His Boat" la mente non può che riportare a quello che è considerato il suo lavoro più prezioso "Dragging a Dead Deer Up a Hill" (2008), difatti si tratta di una serie di outtakes (e assolutamente non di scarti) rimasti fuori dalla tracklist di quest'ultimo, la cui pubblicazione era stata preannunciata con molto anticipo.
Se "Dragging a Dead Deer Up a Hill" aveva in copertina una bambola poco rassicurante in vesti scure, ad evocare l'inquietudine dell'innocenza infantile, "The Man Who Died in His Boat" in qualche modo continua il percorso (oltre che sonoro), legato ai ricordi. In copertina appare la madre di Liz Harris ritratta in un'indecifrabile espressione sia mimica che gestuale, mentre il titolo riporta ad un altro ricordo adolescenziale della Harris, riferendosi al ritrovamento di una nave abbandonata che giunse nel porto della sua città: Hagate Beach. La barca non aveva segni di collisione, nè era capovolta o affondata, eppure del suo marinaio non se ne ebbe più traccia. La Harris spiega di essersi intrufolata all'interno dell'imbarcazione andando un giorno a pesca con il padre, e che vedere gli oggetti di uso quotidiano del disperso, il suo mobilio e constatare che anche "un cavallo senza cavaliere" può riuscire ugualmente ad approdare alla sua meta, ebbe un forte impatto su di lei.
Oltre alla storia dietro quest'ultima uscita, venendo all'album...risulta immediatamente come uno dei suoi lavori più organici, in cui vengono messe da parte le leggere sfumature drone al pianoforte che caratterizzavano "A.I.A", ed ancor più i suoi caratteristici effetti delay, lasciando invece maggior spazio alla sua voce, alla chitarra e rivolgendosi a numerosi field-recordings dai temi acquatici...il tutto privo di quell'effetto cavernoso prima citato, conferendo così all'intero lavoro un aspetto ancor più intimo e riflessivo del normale.
Ogni brano si lega all'altro in un solido intreccio costruito su impercettibili variazioni capaci di creare un flusso continuo, in cui l'oscuro ed i tormenti non sfociano mai in esplosioni sonore, ma piuttosto in pacate riflessioni. L'apertura "6" suona come un vecchio nastro danneggiato ricco di fruscii di sottofondo a dare l'idea di logorio; la più organica "Vital" ci riporta immediatamente alle atmosfere più intime della Harris, la sua voce sdoppiata con effetti delay risulta forse la parte più nostalgica ed offuscata dell'intero lavoro. "Clouds in Place" riporta alle sonorità di "Dragging a Dead Deer Up a Hill", dando l'effetto di una cantilena infantile, ad enfatizzare il contrasto luce/oscurità...e lo stesso discorso vale per "Cover the Long Way" in cui cori eterei si intrecciano l'un l'altro accompagnati soltanto da una chitarra in un binomio tanto fragile e commovente quanto disarmante. In "Vanishing Point" riverberi metallici si distribuiscono su uno strato di fruscii accompagnando rade note tenebrose al pianoforte elaborate con effetti delay, lasciando infine spazio ad uno degli interludi composti da field-recordings che hanno funzione di separare i vari umori su cui si districa l'intero "The Man Who Died in His Boat", per poi aprirsi nella più quieta title-track con un risultato alquanto spiazzante nella sua riuscita. Vale ancora la pena citare "STS" e "Being her Shadow", tappetti sonori che si dilungano in oscure e nostalgiche meditazioni tra delicati riverberi drone ed atmosfere ambient, amplie distese in cui la Harris riesce a catturare con dolcezza la fragilità e le inquietudini dell'animo umano.
Lascio qui sotto "Dragging a Dead Deer Up a Hill" (tra l'altro rieditato e ristampato in Lp):
E' il caso di dirlo: un ottimo Ascolto!! :)
Liz Harris è un'Artista estremamente produttiva: 6 full-lenght, innumerevoli pubblicazioni tra EP e singoli e svariate collaborazioni (inutile citare nuovamente il tutto, rimando al breve ed incompleto riassunto: http://omote-no.blogspot.it/2012/03/liz-harris.html); tanto produttiva quanto schiva tanto da risultare piuttosto difficile districarsi tra le sue numerose attività, non avendo un sito ufficiale e limitandosi ad un profilo facebook non particolarmente aggiornato.
Il suo è uno stile ben consolidato capace di unire in una strana miscela la sua voce eterea a morbidi drone, atmosfere folk ad increspature ambient, il tutto a dare una sensazione confusa ed indefinita che evoca allo stesso tempo un senso di quiete ad una sfocata ed indefinita sensazione di disagio e nostalgia. Un suono cavernoso che sembra giungere alle orecchie da qualche remota sorgente sonora o forse da qualche sommesso ricordo, comunque sia, legato strettamente ad una sfera intima e privata. Od almeno, questa sarebbe la condizione ideale per esaltare al meglio l'ascolto delle sue produzioni, o meglio dire, delle sue "ambientazioni". Premesso ciò, salvo il forte carattere drone della sua ultima pubblicazione dal titolo "Violet Replacement", progetto nato come una serie di performance live basate sull'improvvisazione condizionata dal contesto ambientale della location e dal pubblico presente, ad un ascolto disattento le numerose produzioni di Liz Harris potrebbero dare l'impressione di essere apparentemente sempre uguali, una continua variazione ed una continua rielaborazione di uno stesso motivo; ma nelle giuste condizioni di ascolto (ed ovvio, avendo le adeguate attitudini al tipo di sonorità), invece è facile rimanere incantati dall'incredibile abilità con cui la Harris riesce ad esplorare l'oscuro con una dolcezza disarmante, giostrando la sua voce con componenti organiche e riverberi elettronici, muovendosi agilmente tra differenti atmosfere, inquietudini, riflessioni, ed evocazioni mnemoniche dal forte carattere nostalgico.
Ascoltando "The Man Who Died in His Boat" la mente non può che riportare a quello che è considerato il suo lavoro più prezioso "Dragging a Dead Deer Up a Hill" (2008), difatti si tratta di una serie di outtakes (e assolutamente non di scarti) rimasti fuori dalla tracklist di quest'ultimo, la cui pubblicazione era stata preannunciata con molto anticipo.
Se "Dragging a Dead Deer Up a Hill" aveva in copertina una bambola poco rassicurante in vesti scure, ad evocare l'inquietudine dell'innocenza infantile, "The Man Who Died in His Boat" in qualche modo continua il percorso (oltre che sonoro), legato ai ricordi. In copertina appare la madre di Liz Harris ritratta in un'indecifrabile espressione sia mimica che gestuale, mentre il titolo riporta ad un altro ricordo adolescenziale della Harris, riferendosi al ritrovamento di una nave abbandonata che giunse nel porto della sua città: Hagate Beach. La barca non aveva segni di collisione, nè era capovolta o affondata, eppure del suo marinaio non se ne ebbe più traccia. La Harris spiega di essersi intrufolata all'interno dell'imbarcazione andando un giorno a pesca con il padre, e che vedere gli oggetti di uso quotidiano del disperso, il suo mobilio e constatare che anche "un cavallo senza cavaliere" può riuscire ugualmente ad approdare alla sua meta, ebbe un forte impatto su di lei.
Oltre alla storia dietro quest'ultima uscita, venendo all'album...risulta immediatamente come uno dei suoi lavori più organici, in cui vengono messe da parte le leggere sfumature drone al pianoforte che caratterizzavano "A.I.A", ed ancor più i suoi caratteristici effetti delay, lasciando invece maggior spazio alla sua voce, alla chitarra e rivolgendosi a numerosi field-recordings dai temi acquatici...il tutto privo di quell'effetto cavernoso prima citato, conferendo così all'intero lavoro un aspetto ancor più intimo e riflessivo del normale.
Ogni brano si lega all'altro in un solido intreccio costruito su impercettibili variazioni capaci di creare un flusso continuo, in cui l'oscuro ed i tormenti non sfociano mai in esplosioni sonore, ma piuttosto in pacate riflessioni. L'apertura "6" suona come un vecchio nastro danneggiato ricco di fruscii di sottofondo a dare l'idea di logorio; la più organica "Vital" ci riporta immediatamente alle atmosfere più intime della Harris, la sua voce sdoppiata con effetti delay risulta forse la parte più nostalgica ed offuscata dell'intero lavoro. "Clouds in Place" riporta alle sonorità di "Dragging a Dead Deer Up a Hill", dando l'effetto di una cantilena infantile, ad enfatizzare il contrasto luce/oscurità...e lo stesso discorso vale per "Cover the Long Way" in cui cori eterei si intrecciano l'un l'altro accompagnati soltanto da una chitarra in un binomio tanto fragile e commovente quanto disarmante. In "Vanishing Point" riverberi metallici si distribuiscono su uno strato di fruscii accompagnando rade note tenebrose al pianoforte elaborate con effetti delay, lasciando infine spazio ad uno degli interludi composti da field-recordings che hanno funzione di separare i vari umori su cui si districa l'intero "The Man Who Died in His Boat", per poi aprirsi nella più quieta title-track con un risultato alquanto spiazzante nella sua riuscita. Vale ancora la pena citare "STS" e "Being her Shadow", tappetti sonori che si dilungano in oscure e nostalgiche meditazioni tra delicati riverberi drone ed atmosfere ambient, amplie distese in cui la Harris riesce a catturare con dolcezza la fragilità e le inquietudini dell'animo umano.
Lascio qui sotto "Dragging a Dead Deer Up a Hill" (tra l'altro rieditato e ristampato in Lp):
WebRep
currentVote
noRating
noWeight
E' il caso di dirlo: un ottimo Ascolto!! :)
Iscriviti a:
Post (Atom)
-
Premetto che per questa volta non ho potuto fare a meno di concedermi un certo grado di melensità e stucchevolezza, ciò non senza imbarazzi....
-
PLAYLIST 3/3 2012 DOWNLOAD 1 Flatlands CHELSEA WOLFE 2 Black Summer EFTERKLANG 3 Come Play Frolic CHILDREN OF THE WAVE 4...