1.02.2012

...tuttavia al tempio di Dendur...

Da appassionata delle creazioni di William Basinski, non potevo non inserire tra gli ascolti che più mi hanno stupita, emozionata ed incantata, seppur in un contesto non legato a nessuna "classifica", la rivisitazione orchestrale curata da Maxim Moston di parte dell'opera "The Disintegration Loops", eseguita al Metropolitan Museum of Art di New York, lo scorso  11 settembre. Ne avevo già parlato in questi due post:
http://omote-no.blogspot.com/2011/09/disintegration-loops.html
http://omote-no.blogspot.com/2011/09/mr-basinski-mr-moston.html
tuttavia, data la perfetta riuscita di Moston nell'impresa di  rivisitare un creazione di Basinski trasformando la sua forma "sintetica" in una composizione orchestrale, riuscendo a mantenere la stessa sensazione claustrofobica, la stessa profondità, e soprattutto la stessa emotività; e dato che quella sera mentre stavo ascoltando questo strano evento in diretta alla radio ero così invidiosa nei confronti dei fortunati presenti che i miei succhi gastrici e pancreatici mi stavano corrodendo le viscere addominali, e dato che, sì, è l'ascolto che mi ha colpita di più, ho tagliato il file audio eliminando tutte le parti superflue (interviste, le due commentatrici che blaterano all'infinito, la parte precedente del concerto etc etc), lasciando soltanto il brano in questione ed i 2 minuti di silenzio nati spontaneamente dal pubblico alla fine dell'esecuzione. QUI

E questo è l'unico video esistente (per ora), dell'evento:


Buon ascolto! e poi mercoledì 'sta playlist!! :)

12.30.2011

Album 2011 #01 Dez Mona "Sága"

#01 DEZ MONA - "SAGA"
Probabilmente l'album meno considerato dell'anno, anche se il precedente Hilfe Kommt aveva avuto riscontri positivi anche da noi, peccato, forse è complice il fatto che i cari Dez Mona siano fin troppo restii  ad uscire dai confini belgi ed olandesi in quanto a live..Avendo avuto la fortuna di vederli un paio di anni fa a Milano (un mezzo miracolo), posso dire che anche solo nella loro formazione più classica sono fantastici, immagino dunque che accompagnati dalla BOX (l'orchestra barocca) lo siano ancor di più...e vedendo qualche filmato qua e la viene da incrociare le dita perchè chissà, magari decidano di viaggiare un po' su e giù per l'Europa.
Comunque sia, sì, per me Sága è l'album più interessante e soprattutto affascinante che sia uscito quest'anno!! :)
Ne avevo lautamente scritto qui: http://omote-no.blogspot.com/2011/09/saga.html ma ricopio tutto il testo qui sotto, aggiungendo dei video:
SAGA
La loro terza uscita, Hilfe Kommt, li ha fatti conoscere ad un pubblico decisamente più amplio, tanto che non è difficile trovare i loro album anche in posti come la FNAC o simili, comunque sia un piccolo cenno biografico forse occorre ugualmente.
I Dez Mona si formano nel 2003 durante il Recyclart Fest. a Bruxelles, inizialmente dall'unione di Gregory Frateur e Nicolas Rombouts al contrabbasso che nel 2005 pubblicano "Pursued Sinners"; man mano si aggiungono elementi, quindi Roel van Camp alla fisarmonica, Bram Weijters al pianoforte, Steven Cassiers alla batteria e successivamente l'inserimento di qualche corista, ed in questa formazione nel 2007 pubblicano "Moments of Dejection or Despondency" e nel 2009 appunto "Hilfe Kommt".
A parte il carisma e la Voce di Frateur (talvolta accostato addirittura a Nina Simone, talvolta ad Antony Hegarty), a colpire è la loro capacità di mischiare perfettamente molteplici generi, dall'evidente influenza jazz, al folk, al gospel, ad elementi "punk" (più evidenti nel primo album), comunque sia sempre ricorrendo a strumentazioni "classiche", ma dando importanza ad un aspetto volto alla sperimentazione, una ricerca di nuove sonorità e soprattutto di originalità.

Sperimentazione ed originalità non consistono soltanto nel saper unire sonorità classiche a strumentazioni elettroniche, talvolta campionando e stravolgendo le prime (cosa che comunque a me piace!), può consistere anche nel rispolverare vecchi strumenti medievali ormai dimenticati, i progenitori dei nostri attuali violoncelli, violini, chitarre, arpe, strumenti a fiato etc. etc. e ridare loro vita, di fatto "contemporaneizzandoli" (esiste questo termine?) ma senza stravolgimenti.
Il quarto album dei Dez Mona "Sága" infatti oltre a Frateur, Rombouts e van Camp ai rispettivi posti, è stato completamente realizzato con la collaborazione della Baroque Orchestration X (BOX), una vera e propria orchestra composta da strumenti risalenti all'epoca barocca, sotto la direzione di Pieter Theuns e Jutta Troch. (www.boxcollective.be)
Sicchè una "viola da gamba" (sembra un violocello, ma con molte più corde), strani strumenti a fiato, un'arpa barocca (suonata da Jutta Troch), un'antico organo, strani antecessori del violino ed un theorbo, uno strano liuto con un'infinità di corde suonato da Pieter Theuns; il loro suono che sa davvero di antico, usato in un contesto attuale produce un effetto piuttosto affascinante.
Quanto a Sága, l'album è strutturato come una narrazione vera e propria (ha un chè di teatrale, sicchè potrebbe essere anche definita come Opera), e si riferisce alla dea della mitologia Scandinava a cui venivano dati poteri di chiaroveggenza e saggezza (la mitologia nordica non è il mio forte :), quindi non vado oltre a queste scarse informazioni...), comunque sia questo aspetto non fa che conferire all'album un carattere meditativo sulla natura umana e l'ambiente in cui vive,il rispetto per esso, e cosa più importante la continua ricerca di un miglioramento.
Sicuramente un ascolto insolito, pur usufruendo di strumenti antichi ha un aspetto innovativo...forse non bastano 2/3 ascolti per apprezzarlo pienamente...in due giorni credo di averlo ascoltato una ventina di volte e non riesco a staccarmene! Anzi, devo dire che ne sono del tutto rapita!
L'album è stato presentato in anteprima l'8 settembre ad Antwerp con un live dal taglio teatrale, grazie anche alla collaborazione con l'artista e lighting designer Jan Pauwels e la stilista Veronique Branquinho:

Qui sotto invece un mini-set della Baroque Orchestration X dello scorso anno per la TEDConference, che include la cover "Grow, Grow, Grow" di PJ Harvey e "Pyramid Song" dei Radiohead, poi all'11° minuto arriva Frateur con uno dei brani contenuti in Sága, precisamente "Soldiers":

Qui sotto lascio 20 minuti live...il primo brano si sente malissimo, poi diventa accettabile:

La prossima settimana caricherò la playlist di fine anno (già pronta da novembre!), e poi c'è ancora la questione della "cosuccia" fuori classifica...no, non è tutta quella sfilza di brani inediti che Antony ha scritto per "The Life and Death of Marina Abramovic", promesso!...intanto, sarò off-line fino a lunedì dato che porto i miei gatti in montagna, lontano dai botti sparati dai tamarri, sennò poverini mi infartano. Dunque se qualche link non funziona o ci sono altri intoppi, pazienza per qualche giorno.
Allora Buon Anno! :)

12.29.2011

Album 2011 #02 Julia Kent "Green and Grey"

#02 JULIA KENT - "GREEN AND GREY"
Senz'altro l'album che ho atteso maggiormente, l'album che ho ascoltato di più, e che ho amato di più, e poi Lei dal vivo che sia sola nella sua forma più classica, in collaborazione con Beauchamp in un contesto più sperimentale, con i Larsen o con i Blind Cave Salamander, con Antony o con Barbara de Dominicis, lascia sempre senza parole! Proprio a causa della mia smisurata venerazione per la Kent, ero in dubbio se piazzarla prima (comunque lo è!), ma anche quelli che posterò domani sono lo stesso in vetta a questa "classifica"...vabbè, capito no? :)
Qui sotto rimando al post originale, che riletto ora  mi ha fatto seriamente preoccupare di me stessa...per non parlare dei colori che ho usato per scrivere i titoli:http://omote-no.blogspot.com/2011/03/julia-kent-green-and-greyafter-several.html
Qui sotto invece ricopio l'intero post (sì, quello preoccupante del link sopra), aggiungendoci però alcuni video:

"GREEN AND GREY"
Si legge da una sua intervista pubblicata qualche giorno fa su Pitchfork (qui), la sensibilità e l'attenzione di Antony riguardo la tutela ed il rispetto della Natura e dell'ambiente, alla fine l'hanno fortemente influenzata; "Green and Grey", come facilmente deducibile già dal titolo stesso, esplora la convivenza tra i due mondi, il verde, colore con cui s'identifica la Natura, ed il grigio, il colore prevalente nell'artificialità umana.
Re-interpretando "Delay", il primo album solista della Kent (2007), ora potrebbe essere visto come un preludio, l'inizio di un percorso di consapevolezza; in copertina una fila di carrelli per il trasporto delle valigie in aeroporto, il tutto ben riassunto proprio in quel colore triste ed occludente: il grigio. "Delay" difatti è stato ideato e composto per la maggior parte negli aeroporti da cui prendono titolo i brani dell'album, "Fontanarossa", "Malpensa", "Venizelos"... Solita prendere una miriade di voli aerei per via dei tour e subendo gli annessi ritardi (appunto "Delay"), la Kent ha potuto esplorare a fondo l'alienazione, l'omologazione, la tristezza di questo non-luogo...da una parte con i vari interludi inseriti tra un brano e l'altro: il vociferare in sottofondo, segnalazioni acustiche, passi, bagagli trascinati  velocemente a terra...tutti registrati in presa diretta e talvolta campionati; dall'altra parte i brani veri e propri che sembrano voler descrivere un rifugio da quel caos, ma che in fondo lasciano la sensazione di una profonda claustrofobia e di disagio. Almeno, questo è quel che ne ho riassuntivamente percepito...ma poi non è sempre possibile poter descrivere le proprie sensazioni con particolare finezza, tanto più se si tratta di un album strumentale.


L'estate scorsa l'Ep "Last Day in July", e qui, come scritto da me a proposito, si ha a che fare con con un temporalone che segna la fine dell'estate...la Kent con il suo violocello è capace di descrivere in musica quel preciso momento, quel passaggio, ed è capace di farlo con una grazia ed un profondità tale da poter essere immaginato visivamente, come se si trattasse di un documentario. Tra un brano e l'altro mancano gli interludi, sostituiti invece da sensazioni acustiche (la pioggia, i passi sulle pozzanghere, l'acqua), come parte integrante del brano stesso...è come se mancasse il distacco tra realtà e necessità, ben radicato invece in "Delay"...la Natura, la quiete, l'osservazione dei fenomeni, sembrano coincidere con le aspettative e le necessità della stessa Kent.


 Poi arriva "Green and Grey":
         http://music.juliakent.com/
In linea generale concordo con la recensione del The Liminal: http://www.theliminal.co.uk/2011/02/julia-kent-green-and-grey/
il punto di vista può essere duplice  e soggettivo, ossia: si tratta di osservazioni dei fenomeni naturali visti all'interno di un contesto urbano? Oppure si tratta di fenomeni naturali, visti e vissuti nel loro ambiente, con lo stupore di chi però a quell'ambiente si sente ormai estraneo?
Di sicuro c'è il fatto che il contesto Natura rappresenta una fuga dal caos, il luogo dove trovare calma e serenità, un fattore da riscoprire...il punto di arrivo di un percorso. Ma andiamo con ordine:
Julia racconta  che in effetti erano circa 3 anni che lavorava dietro a quest'album, ed il tutto nacque mentre stava registrando con Antony (suppongo l'album "The Crying Light"), in un piccolo studio poco fuori New York, praticamente localizzato nel mezzo di un bosco. Qui rimase affascinata dalla ritmicità dei suoni emessi dagli insetti (nello specifico, delle cicale), cominciò così a realizzare svariate registrazioni dei rumori ambientali circostanti, senza però avere un'idea precisa di cosa farne...successivamente, nelle brevi pause tra un tour e l'altro, ha riflettuto sul significato di quei suoni, ha riflettuto sul perchè si sia sentita allo stesso tempo affascinata, intimorita e spaesata  in un ambiente non urbano, e quindi sul suo rapporto con la Natura. Tornata dunque nella tranquillità del suo appartamento a Manhattan ha messo insieme tutte quelle registrazioni...
- L'album comincia con "Pleiades", le cicale introducono il brano che parte lento, riflessivo (a tratti mi ricorda Philip Glass nella soundtrack "The Hours")...sembra quasi l'avvicinarsi cauto e circospetto ad un mondo sconosciuto, che pian piano diventa sempre più familiare, fino ad abbandonarsi allo stupore. Resta sempre la doppia possibilità: si tratta di un'esperienza vissuta nel contesto urbano, quindi le cicale si trovano nel giardino, le stelle vengono guardate da dietro una finestra? Oppure il tutto viene vissuto in un contesto non urbano?
- "Ailanthus", (già contenuto nell' Ep "Last Day in July") , detta anche "pianta del paradiso" per via delle altezze che può raggiungere (fino a 25m di altezza), è una pianta infestante...il fatto che il brano parta con dei passi sull'asfalto e che continui con ritmo ripetitivo, che sembra quasi delineare un cerchio che si espande, mi fa percepire il lungo e lento lavoro attuato per impossessarsi di un luogo...resta poi da capire quale sia la vera "pianta" infestante...

Julia Kent (2) live Paris 2010 feb. 22 di NoMoreReturn
- In "Toll", ossia il dazio, il conto da pagare sempre inteso nell'ottica della duplice visione Natura/uomo. Si torna ad una classicissima Kent, il brano si apre, si sviluppa con il caratteristico intrecciarsi di loops che man mano si aggiungono e si sommano, per poi tornare su stesso nella conclusione, il tutto caratterizzato da una certa cupezza...che forse lascia intendere quale sia la sua personale visione.
- Si arriva ad "Acquario"...il rumore dell'acqua ben delineato all'inizio, accompagna tutto il corso del brano in sottofondo...la Kent è capace di trasformare il suono prodotto dal suo violocello in correnti, mulinelli, cascate, le sue sonoritè sono fluide, liquide, diventano l'artificio capace di descrivere in immagini lo scorrere dell'acqua...e che si trovi in un acquario posto nel salotto di casa o si tratti di un torrente od un corso d'acqua, ha ben poco conto.

Julia Kent (1) live Paris 2010 feb. 22 di NoMoreReturn
-"Tithonos", le cicale aprono ed accompagnano tutto il brano...qui rientra la mitologia greca...
la leggenda narra che Eos (amante di Titone) chiese a Zeus di donargli l'immortalità, dimenticando di richiedere anche l'eterna giovinezza. Vedendo il suo amato diventare sempre più vecchio e privo di forze, Eos ottenne che esso fosse mutato in cicala
-"Guarding the Invitations", tra i miei preferiti, con aperture da brividi ed un'eleganza senza pari. Fortunatamente si trova una sua performance su YouTube, relativa ad un live tenuto lo scorso maggio a Milano (in cui ovviamente c'ero).
- Si continua con "Overlook" e grazie alla capacità descrittiva della Kent, non vi è molto da aggiungere...la vista di un paesaggio, le sue caratteristiche fin nel dettaglio (naturali e non...)
- "A Spire", ecco il capolavoro dell'album (almeno per me)! L'unico riferimento chiaro ad un costrutto umano: "spire", una torre, una guglia...a simboleggiare un po' l'orgoglio di ergersi al di sopra della Natura. Al primo ascolto sono rimasta inebetita! Ricorda molto Zoe Keating nella migliore condizione (d'altra parte anche lei era parte delle Rasputina); ok, non è certo la prima volta che Julia Kent inserisce altre strumentazioni alle sue composizioni (piccoli e vecchi sintetizzatori), ma questa volta entrano a farne parte un beat (ma leggero neh!) in sottofondo e quello che sembra essere uno xilofono (che sia poi al sintetizzatore o no, questo non lo so...). Posso dire che potrei ascoltarlo tutto il giorno senza sosta e rimarrei sempre a bocca aperta! :)
- E dunque "Missed", che io percepisco come la sensazione di estraniazione nei confronti di una realtà che non ci appartiene più. La stessa Kent dice infatti che nonostante questa sua riflessione, e nonostante essere più sensibile ed attenta ora ai fenomeni naturali, ne è comunque spaventata...intendendoli come manifestazioni molto al di sopra delle nostre possibilità e decisioni.

Julia Kent (5) live Paris 2010 feb. 22 di NoMoreReturn
- "Dear Mr. Twombly"...brano più meditativo, anche questo caratterizzato dalla piccola "intromissione" di un sintetizzatore (che ricorda un po' "Fontanarossa"). Resta un po' un punto interrogativo, di Twombly conosco un pittore americano che fu capace di unire lo stile grafico del disegno, alla pittura...e dubito si riferisca a lui. (invece poi si è scoperto che è proprio lui il Twombly in questione!)
- Si giunge al finale con "Wake Low"; indicano le linee (si può dire isobare?) che delimitano le aree di bassa pressione,  che sono poi quelle più soggette a fenomeni atmosferici legati maltempo, come la pioggia ed il vento. Da l'idea di una lunga e ponderata riflessione che termina con una presa di coscienza, una nuova percezione...a terminare il brano (e quindi l'album) è lo stesso rumorio emesso dalle cicale, con cui si apre "Green and Grey"...ma giunti a questo punto, è chiaro che il significato di questo fenomeno non è più lo stesso. Dapprima si tratta di un episodio forse un po' banale, ma che suscita un certo stupore, è una scoperta...lo stupore poi stimola una riflessione che porta ad una comprensione profonda del suo significato e questa infine ad una nuova consapevolezza.

Come al solito, le mie parole a sproposito non sono minimamente in grado di lasciar intendere la reale sostanza (e  bellezza) del lavoro in questione, ed ho anche un po' l'impressione di aver qua e la sviato dall'essenzialità del suo significato...il fatto è che ci sarebbero da aggiungere parecchie "cose" su quest'album e sulla sua lavorazione che il post risulterebbe illeggibile. L'unica speranza è quella di non aver allontanato nessun dall'ascolto di questo capolavoro! :)
Buon ascolto!...ah già, nessun link per il download qui neh! :)

12.28.2011

Album 2011 #03 Joan as Police Woman "The Deep Field"

Le prime tre posizioni (a questo punto davvero scontate), si equivalgono in numero di ascolti ed indice di gradimento/attesa...tre album che non hanno nulla in comune l'uno con l'altro 
#03 JOAN AS POLICE WOMAN - "THE DEEP FIELD"
Vergognosamente non ho scritto nulla di specifico su "The Deep Field", eccetto che per questi due miseri post: omote-no.blogspot.com/2011/01/su-vogueitjoan-wasser.html
omote-no.blogspot.com/2011/01/fin-quando-resta.html
Non ha senso dilungarsi ora, e così aggiungo una nota personale; quest'anno ho visto parecchi concerti che mi hanno emozionata e divertita, e tra questi anche Joan che sono riuscita a vedere ben 3 volte...e proprio nella data più scadente in quanto a location (il parcheggio di uno shopping center qui a Torino) e soprattutto in quanto ad organizzazione (dopo 45 minuti è stata invitata a scendere dal palco per lasciare spazio agli Ok Go!), ho vissuto il momento più emozionante tra tutti (be', c'è anche quel "Man is the Baby" a Copenhagen, ma è differente... ). Era metà luglio, ma tutto sommato faceva anche fresco e tirava una certa arietta, per tutto il (breve) live non ero riuscita a distogliere lo sguardo dagli zepponi dorati che Joan indossava insieme ad una tuta bianca in stile eroina dei film '70 di serie z di stampo fantascientifico, con il nome del gruppo stampato sul lato destro del torace (ed assicuro che il binomio scarpe/tuta era piuttosto agghiacciante, era impossibile guardare altro!); ad un certo punto, lasciata la postazione tastiera ed imbracciata la chitarra, Joan è partita con "Flash", e nei sette minuti successivi (più o meno la durata del brano), il solito brusio della gente che non ho mai capito perché vada ai concerti per parlare in continuazione durante i brani, si è interrotto, ed io, forse per lo stesso motivo che ha spinto tutti al mutismo, sono riuscita a distogliere lo sguardo da quegli orridi zatteroni, incantandomi sui suoi capelli tinti di un nero corvino che svolazzavano ordinatamente mossi da quell'arietta che citavo poco fa...7 minuti incantevoli! :)


Buon ascolto, e speriamo di rivederla presto!! :)